una, perchè stampa il marchio "made in Italy" potendolo fare con prodotti di bassa qualità e quindi sottrae all'immagine dell'Italia il suo insostituibile valore aggiunto; l'altra, perchè veicola le proprie merci e sta dando un enorme contributo alla diffusione della illegalità facendo affari con la criminalità organizzata italiana.)
per saperne di più consulta la SCHEDA della Filctem/CGIL: NOTA SUL DISTRETTO TESSILE DI PRATO
LUNEDI 02 DICEMBRE 2013 - MicroMega
di Giorgio Cremaschi
Le persone bruciate vive nelle fabbriche tessili segnano la storia dello sviluppo industriale e delle condizioni di lavoro. La stessa data dell’8 marzo ricorda la strage di operaie avvenuta per il fuoco più di un secolo fa negli Stati Uniti.
Dopo aver percorso il mondo con la sua devastazione costellata di stragi di lavoratori, ora, grazie alla crisi, la globalizzazione torna là da dove era partita, e anche da noi si muore come nel Bangladesh o in Cina.
Negli Stati Uniti questi laboratori di migranti che si installano nelle antiche zone industriali li chiamano “sweet-shops”, fabbriche del sudore.
Da noi la strage di operai cinesi a Prato è stata presentata cercando la particolarità estrema, quasi come fatto di costume.
Si è messo l’accento sulla particolare chiusura in sé della comunità cinese, fatto assolutamente vero, quasi per derubricare quanto avvenuto. E soprattutto per non affrontare la questione vera, che in Italia la produzione industriale e il lavoro nei servizi stanno affondando nelle condizioni di quello che una volta si chiamava terzo mondo.
La questione non è che i morti sono cinesi, ma che in Italia si lavora come schiavi per paghe vergognose, e che questo può toccare a tutti. Perché c’è chi ci guadagna a mettere il proprio marchio su ciò che viene fatto per pochi centesimi, e la svalutazione dei nostri redditi ci pesa un po’ meno se possiamo comprare indumenti a basso prezzo. Prima si dovevano trasportare da lontano le merci prodotte dagli schiavi, ora la strada è più corta perché gli schiavi li abbiamo in casa. I margini di profitto crescono con la schiavitù a chilometro zero.
Se non si ferma la macchina infernale della globalizzaione, se non si ridà forza e dignità al lavoro quale che sia il colore della pelle o il taglio degli occhi di lo fa. Se si continua a parlare di competitività e produttività a tutti i costi. Se si continua ad accettare come fatto inevitabile che il lavoro sia sfruttato qui, tanto sennò lo sfruttano lì.
Se continueremo a considerare con riprovazione domenicale ipocrita, il culto che Papa Francesco ha chiamato del Dio Denaro. Se continueremo a sprofondare verso il capitalismo ottocentesco, di quel capitalismo subiremo sempre di più la ferocia.
Se vogliamo fermarci, cominciamo a dire che a Prato son stati uccisi sette operai, come alla Thyssenkrupp di Torino. Non sette cinesi, ma sette operai vittime in Italia dello schiavismo della globalizzazione.