La trincea di Epifani

Meno tasse e più salari per i lavoratori dipendenti. Salvare le imprese e impedire che
si perdano nuovi posti nell'industria. Ritrovare un fronte unitario con la Cisl e la Uil.
Così la Cgil vuole tornare protagonista.

SETTEMBRE 2009 – L'Espresso

All'angolo anche se non lo ammetterà mai, c'era finito davvero. Dopo il no al nuovo sistema contrattuale, in aperto conflitto con il governo - impersonato dal ministro del Welfare Maurizio Sacconi - e con i compagni di strada di un tempo, la Cisl e la Uil, il capo della Cgil Guglielmo Epifani si era arroccato dentro il palazzone di Corso d'Italia, dipinto come il simbolo dell'oscurantismo sindacale: passatismo, attaccamento ai vecchi rituali, subordinazione all'ala più 'gauchiste' della sua organizzazione, i metalmeccanici della Fiom. Ora Epifani può celebrare il suo ritorno in pista, la sua rivincita, il suo 'io l'avevo detto'. Non solo perché anche i più falchi tra gli industriali ammettono che della Cgil non si
può fare a meno. E non tanto per l'invito a parlare in duetto virtuale con Emma Marcegaglia, capo della Confindustria, proprio nel gran finale del convengo Ambrosetti a  Cernobbio, dove si fa il sommario dell'agenda autunno-inverno di politica ed economia, ma per via di un indice: l'indice dell'inflazione sterilizzato del costo dell'energia.

Quel numerello che deve servire a calcolare gli aumenti salariali, e che prende il posto della vecchia inflazione programmata, ha giocato un brutto scherzo ai sostenitori del nuovo sistema contrattuale, proprio alla vigilia della sua prima applicazione. Invece di calmierare gli aumenti, appare più 'grasso': quest'anno è all'1,5 per cento, mentre l'inflazione reale corre allo 0,2 (ad agosto). Insomma, invece di frenare, rischia di spingere i salari. E, quel che più importa, di assorbire con un meccanismo automatico tutte le risorse possibili, togliendo spazio di manovra a qualsiasi trattativa contrattuale. All'allarme di Renato Brunetta nella veste di datore di lavoro degli statali, si aggiunge l'allarme degli industriali, che si ritrovano alla vigilia di una tornata di rinnovi contrattuali (vedi box a pag.55) a guidare una macchina che è già in panne. È per questo che Epifani riprende la palla, e si appresta a giocare il suo ruolo in partita. Cominciando a lanciare due messaggi. Primo: meno tasse per i lavoratori dipendenti come condizione che segni la prossima stagione contrattuale. Secondo: che c'è spazio per ritrovare un fronte unitario nel sindacato, anche nei casi più delicati come quello dei metalmeccanici.

Contento che il nuovo sistema contrattuale da voi tanto combattuto si sia impantanato?
"La cosa che mi preoccupa di più, in questo momento, è che si restringa la base produttiva.
 
 
Ci troviamo di fronte a un autunno-inverno durissimo e, come ha detto anche il presidente  della Repubblica Giorgio Napolitano, il primo obiettivo è salvare più imprese possibile, non  mettere sulla strada i lavoratori e occuparsi di quelli che il lavoro l'hanno già perso e a cui in questi giorni finisce la cassa integrazione".

Paura che con l'emergenza gli imprenditori assecondino la tentazione a sfilarsi dalle situazioni difficili, insomma a tagliare la corda?
 
"Sì. Ma chi lo fa, lo fa al buio, perché non può sapere che tipo di mercato ci sarà dopo la crisi. Quindi quando sento che si minacciano chiusure nell'indotto di Melfi, o che Zegna chiude a Chieti per portare a Biella, non sono soltanto preoccupato che sia il Sud - dove ci sono le filiere manifatturiere più deboli - a pagare il prezzo più alto della crisi, ma che lì il taglio di 20-30 mila lavoratori sarà più difficile da ricostruire. Fatta così, è una ristrutturazione che renderà più rigida la capacità produttiva. Oggi riduci i costi, ma chiudendo fai una scelta di non ritorno. Non è un caso che persino la Confindustria stimi che siano a r ischio un milione di piccole e medie imprese".

Nelle crisi il mestiere del sindacalista dà il meglio: vi siete ricompattati con Cisl e Uil?
"È vero, quando c'è la crisi si lavora unitariamente. Per questo è stato un errore forzare sulla divisione in nome di un nuovo modello contrattuale. Per affrontare una tempesta di queste proporzioni sarebbe stato meglio non dividere il sindacato".