Fisco, multa da 300 milioni per Mr. Luxottica

Il seguito della vicenda narrata nell'articolo de L'Espresso "Che campioni d'evasione" che avevamo pubblicato a settembre

MARTEDI’ 01 DICEMBRE 2009 – il Giornale.it

di Paolo Stefanato
Roma - Leonardo Del Vecchio, fondatore e maggiore azionista di Luxottica - primo gruppo mondiale degli occhiali -, ha chiuso la sua personale partita con il fisco firmando un assegno da 300 milioni di euro. Una cifra colossale, che non ha precedenti in Italia nelle transazioni tra un privato e l’agenzia delle entrate, ma che non deve impensierire un uomo che da molti anni è tra i prim i contribuenti italiani e che appare regolarmente nelle classifiche dei più ricchi del mondo.

La vicenda andava avanti da tre anni, con un braccio di ferro affidato ad esperti del massimo livello, e il suo esito aveva già avuto un’anticipazione nella condanna, datata 2008 e confermata nel 2009, al pagamento di 20,4 milioni di euro, di cui 11 di sanzioni; il contenzioso si riferiva al biennio 1997-1998.
Per gli anni successivi, tra il 1999 e il 2006, l’accertamento effettuato dal fisco era stato di 2 miliardi. Del Vecchio, che ha sempre sostenuto la liceità dei propri comportamenti fiscali, ha pagato con eleganza: «Ho preferito evitare - ha detto - possibili strascichi giudiziari e chiudere la vertenza avvalendomi degli istituti di definizione concordata con il fisco».

La vicenda è complessa e cercheremo di semplificarla al massimo. Ma va detto subito che siamo nell’ambito dell’elusione fiscale e non dell’evasione, tant’è che a Del Vecchio non vengono contestati reati penali; la differenza tra le due categorie sta proprio, appunto, nel rispetto o no delle leggi, e la «colpa» dell’elusore è quella di cercare gli accorgimenti più opportuni per pagare meno tasse, ma senza infrangere formalmente alcuna norma.
Perché allora - ci si chiederà - Del Vecchio chiude pagando questa somma stratosferica, quindi accettando la sconfitta? Perché il fisco è giunto alla conclusione che le modalità seguite per disegnare il controllo del gruppo industriale falsificavano la realtà e che, di conseguenza, l’erario aveva subito un considerevole danno.
Che cosa è stato contestato a Del Vecchio?

Di aver creato in Germania una società di comodo, trasferendole il controllo del patrimonio per beneficiare del regime più favorevole dal punto di vista fiscale, sia per le plusvalenze sia per i dividendi. Una catena di controllo chiamata «a sandwich», e che si configura quando una holding italiana possiede una finanziaria straniera che a sua volta possiede un’industria italiana.

La tedesca Leofin stava proprio in mezzo tra la proprietà italiana (la Leonardo finanziaria della famiglia Del Vecchio) e le partecipazioni industriali (in particolare Luxottica, occhiali, e Sanson, gelati); la struttura organizzativa e decisionale insomma era inequivocabilmente radicata in Italia, mentre la «scatola» tedesca appariva «vuota», se non - naturalmente - di utili: nel solo 1999 1,55 miliardi di euro, sui quali le imposte da pagare in Italia sarebbero state di circa 500 milioni.

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