GIOVEDI' 27 OTTOBRE 2011 - Intervento di Renato Bressan
La lettera di intenti inviata dal Governo italiano al Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso segna l’ennesimo attacco ingiustificato al mondo del lavoro.
L’innalzamento graduale dell’età anagrafica per l’accesso alla pensione di vecchiaia, che verrà portata a 67 anni sia per gli uomini che per le donne entro il 2026, non solo è sbagliato nel metodo, dato che nessun confronto si è tenuto con le parti sociali, ma anche e soprattutto nel merito.
E’ infatti noto a tutti come la distinzione anagrafica per l’accesso alla pensione tra uomini e donne sia ampiamente giustificata dal fatto che alle donne, ancora oggi, viene assegnato il lavoro di cura che passa dalla crescita dei figli, all’assistenza dei genitori, ai lavori di casa ecc. che lo Stato non ha mai considerato e riconosciuto, se non proprio attraverso la possibilità di accedere alla pensione 5 anni prima.
Questa differenza, che a Bossi e Berlusconi sfugge, è stata colmata con qualcos’altro? No. Semplicemente si livella il tutto come se il lavoro di cura fosse equamente ripartito tra i sessi creando così un aumento delle disparità sociali. E non servono le dichiarazioni di Bossi, tese a tranquillizzare i lavoratori del nord sulle pensioni di anzianità.
Pensa forse che i lavoratori non sappiano che con le ultime manovre finanziarie del 2010 e 2011 si sono elevati i 40 anni di lavoro a 41 anni e 3 mesi per poter ricevere la rendita, con l’aggravante che quel anno e 3 mesi in più di lavoro non verranno conteggiati ai fini previdenziali pur continuando a pagare i contributi? E pensa forse che non sappiano che non c’era alcun motivo di innalzare l’età pensionabile visto che il Fondo dei lavoratori dipendenti è assolutamente in attivo e quindi ampiamente in equilibrio?
Questo metodo punitivo di procedere senza essere supportato da reali ragioni di natura economica e finanziaria trova conferma nella stessa insistente volonta' governativa di demolire il diritto fondamentale alla stabilita' di impiego. Pare, infatti, che le molteplici manifestazioni di piazza, i movimenti, gli indignados, le continue analisi sociologiche ( non per ultima quella del Censis, che mette in evidenza come il continuo ampliamento del precariato sia all’origine di un vero e proprio sbandamento sociale di cui le generazioni più giovani sono massicciamente colpite) non indichino nulla a chi ci governa.
Anche dal punto di vista economico l’idea del licenziamento facile non porterà alcun beneficio. E’ ampiamente dimostrato che la capacità produttiva collegata alla qualità dei nostri manufatti è direttamente proporzionale alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, alla formazione e all'aggiornamento professionale.
Non si capisce, poi, quale dovrebbe essere la correlazione tra la possibilità di licenziare facilmente e la diminuzione del debito pubblico che giustamente l’Europa ci chiede. C’è qualcuno in questo Paese che crede davvero che l’aumento del debito sia stato generato dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che peraltro non impedisce di licenziare, ma ne individua le ragioni? C’è qualcuno che ritiene davvero che la causa dei mali di questo Paese, nei suoi fondamentali economici a partire dalla bassa-bassissima crescita, si possa imputare ai lavoratori e a quel che resta delle loro tutele? O forse si tenta così di nascondere le incapacità che questo Governo ha dimostrato a partire dalle politiche economiche e sociali come ormai tutti, ma proprio tutti, dichiarano da qualche tempo?
Un Governo, che al netto degli scandali che lo ha investito, ma che pare siano ritenuti superflui, ha prodotto la più lunga distanza tra le promesse e le cose fatte.
Distanza che si può misurare rispetto alla pressione fiscale che doveva abbassare ed invece ritroviamo col livello più alto mai avuto; col federalismo che doveva spostare risorse agli enti locali ed invece ci ritroviamo con una politica di accentramento mai esistito; con la lotta all’evasione fiscale che invece di fare emergere il sommerso ed aumentare la base imponibile ha prodotto un aumento vertiginoso dei comportamenti illegali facendo dichiarare all’OCSE che in Italia l’evasione è del 60% superiore alla media degli altri Paesi.
L’elenco sarebbe lungo, ma ormai gli Italiani lo conoscono. Continuiamo, quindi, a dire che le risorse bisogna recuperarle dove si sono accumulate in questi anni grazie a quelle politiche economiche deleterie. Bisogna introdurre la patrimoniale sopra gli 800.000 euro che porterebbe tra i 15 e i 20 miliardi di euro all’anno e nessuno scivolerebbe nell’area della povertà.
Bisogna stabilire una buona volta una efficace lotta all’evasione fiscale arrivata complessivamente a 270 miliardi di euro annui, colpendo infine i comportamenti speculativi.
Il Sergretario Generale
Cldt Bl
Renato Bressan